
Viterbo, la mafia del lavoro, ci scrive Anna C. : “Sono 10 anni che cerco un lavoro e mi dicono di adattarmi e di accettare pochi soldi in “nero”
Circa una decina di anni fa, perso il lavoro nel luogo dove vivevamo, io e la mia famiglia decidemmo di tentare la fortuna altrove. Scegliemmo Viterbo attratti dal suo centro storico, convinti che una città con simili meraviglie avesse molto turismo e, di conseguenza, ampie possibilità di lavoro. Quanta ingenuità, la nostra! In tutti questi anni ci sono capitati solo lavori saltuari, temporanei e mal pagati.
Tra le esperienze più umilianti che mi sono capitate in questi anni ci fu anche quella della promoter porta a porta. Resistetti un mese, bevendomi la balla che, se non lavoravo, era colpa mia che non mi adattavo. Un mese in cui rimanevo fuori casa 12 ore al giorno e durante il quale guadagnai, in totale, meno di 200 euro. A questo hanno fatto seguito lavori stagionali con salari ben al di sotto dei minimi sindacali, promesse di lavoro per aziende inesistenti e, recentissimamente, assistenza domiciliare a persone con disabilità nel quale, fino al giorno in cui sono stata pagata e liquidata, ignoravo quale fosse lo stipendio.
Ho partecipato anche a diversi concorsi, cittadini e nazionali, in molti casi fallendoli per pochi punti.
Nonostante ciò, continuo ad essere accusata di non volere veramente un lavoro, perché non mi adatto. Adattarsi, secondo chi lancia tali accuse, significa evitare di chiedere quale sarà il proprio compenso, quante ore di lavoro sono richieste, volere un contratto e rifiutare di lavorare in nero.
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